mercoledì 5 maggio 2021

Da Capranica all'Amazzonia. Ricordo di Padre Luigi Di Stefano nel 50° della morte

di Fabio Ceccarini

I salesiani - si sa - vengono chiamati “don”, come il loro fondatore. Per lui invece è diverso, perché la gente di Capranica lo chiama Padre. Anche se è sacerdote salesiano. E non solo perché è così che è abituata a conoscerlo. Ma anche perché ha scelto di percorrere una strada molto difficile: quella della missione in America del sud, oltre i confini della civiltà, tra gli indios che abitano le fitte e impenetrabili foreste dell’Amazzonia. In effetti, la sua folta barba mal si concilia con l’aspetto di un sacerdote di paese, perché è più consona e adatta alle eroiche figure dei missionari che con coraggio portano il Vangelo di Cristo nelle più lontane e desolate regioni del mondo. Ed i missionari - si sa - per antica tradizione ecclesiastica, vengono chiamati "Padre". Con la maiuscola.

Padre Luigi Di Stefano nella primavera del 1969, nel suo ultimo soggiorno di riposo in Italia

Padre Luigi Di Stefano muore improvvisamente l’11 maggio 1971, quando non ha neppure compiuto quarant’anni. E’ tornato in terra di missione a Cauaburi, nel Maturacà, circa due anni prima, nel giugno 1969, dopo un periodo di riposo di sei mesi nella sua Capranica. Ed alla partenza ha promesso a tutti i capranichesi accorsi all’aeroporto a salutarlo, di ritornare nel 1975, in occasione dell’Anno Santo. Ma non tornerà mai. Quella mattina infatti, come racconta Don Michele Ghigo, direttore dell'ispettoria salesiana «San Domenico Savio», di Manaus, “…alle 11,30 Don Luigi dopo aver lavorato con tre volontari alla pulizia della casa, ancora sudati e allegri i quattro scendono al fiume per prendere un bagno, a due a due. Improvvisamente Don Luigi sommerge nell’acqua gesticolando con le mani. Il suo vicino non sapendo nuotare chiama aiuti, un indio vicino corre subito e porta fuori Don Luigi. Accorrono tutti, lo trasportano alla missione, solo lontana 50 metri, fanno tutti i massaggi, respirazione artificiale, ma in pochi secondi ha il corpo e la testa rossi di sangue. Ha avuto un collasso cardiaco, e per questo è caduto nell’acqua, a meno di un metro di profondità[1]. Per i soccorritori non c’è niente da fare. Padre Luigi spira poco dopo, c’è appena il tempo di amministrargli l’estrema unzione. Alle 14,00 il corpo parte via fiume dal Maturacà alla volta di Santa Isabele di Tapuruquara, la missione più vicina tra Cauaburi e Manaus. Tre volontari brasiliani navigano ininterrottamente fino alle 8 del mattino. Arrivano alle 8,00 del 12 maggio, disperati e in lacrime, mostrando il corpo di Padre Luigi.  

Il telegramma che annuncia la morte di Padre Luigi Di Stefano

E’ così che Don Ghigo riceve la terribile notizia. Che viene inviata immediatamente in direzione di Manaus, e da qui viene telegrafata a Roma Prenestino, casa salesiana. Sono le 17,00 del 15 maggio e un laconico telegramma di appena sette parole in lingua portoghese annuncia che Padre Luigi non c’è più. Oltre diecimila chilometri separano l’Amazzonia da Capranica: ci vogliono quattro giorni perché la notizia giunga ai familiari e si diffonda di casa in casa. Tutto il Paese è scosso di un dolore intenso e profondo. Un dolore di cui la gente semplice si sente genuinamente partecipe, e che dimostra l’amore sincero che il popolo nutre per questo suo figlio inviato in terra di missione. Perché a quel tempo, quando i missionari partivano, erano davvero “inviati” da tutta la Comunità in un “mandato” che si esprimeva fortissimo e concreto, tanto con il sostegno spirituale della preghiera, quanto con un forte e caldo abbraccio corale.

Padre Luigi Di Stefano all'inizio del noviziato

Luigi Di Stefano nasce a Capranica il 5 agosto 1931, da Bernardino Di Stefano, di anni quarantasei, agricoltore, e da sua moglie Angela Pietrini, casalinga, in una casa posta in via XX Settembre (l’odierna via degli Anguillara)[2]. Durante l’infanzia Giggi, come lo chiamano tutti, respira a pieni polmoni la spiritualità e il carisma salesiano, che a Capranica negli anni Trenta soffiano di un vento molto forte. Mons. Luigi Maria Olivares, il vescovo arrivato alla guida della diocesi di Sutri e Nepi nel 1916, in sostituzione del francescano Mons. Doebbing, morto il 14 marzo di quell’anno, è un salesiano. Per suo impulso, il culto dei santi cari alla congregazione si diffonde nella diocesi ancor più rapidamente, tanto che a Capranica, sull’onda dell’entusiasmo generale seguito alla canonizzazione di Don Bosco, l’architettura della chiesa di San Giovanni viene arricchita dalla costruzione di due nicchie simmetriche (la prima adiacente alla porta dell’ingresso laterale, la seconda vicina a quella che conduceva all’antica sagrestia capitolare, detta oggi comunemente “saletta di San Giovanni”), dove saranno accolte altrettante statue di impronta salesiana:  quella di Maria Ausiliatrice (traslata oggi alla Madonna del Piano per lasciare posto - speriamo per poco tempo, nell'attesa di riaprire la chiesa di Santa Maria - alla Madonna delle Grazie), e quella dello stesso santo sacerdote piemontese.

21 agosto 1938, il vescovo Olivares e un alto prelato posano insieme ad un gruppo di capranichesi davanti all'ingresso della chiesa della Madonna del Piano.

Processione di Don Bosco del 17 agosto 1941. Si intravede a sinistra il vescovo Olivares.

Pellegrinaggio capitanato da Don Luigi Micheli alla basilica romana di Don Bosco al Tuscolano.

L’arciprete parroco della Collegiata di San Giovanni Don Luigi Micheli, è sostenitore e diffusore dello stile pastorale di Don Bosco, cui si ispira chiaramente nelle sue attività. Istituisce la processione pubblica in onore del Santo di Valdocco nel giorno della sua nascita (15 agosto); invita il vescovo Olivares a presenziare a momenti di culto pubblico; apre un oratorio per l’animazione dei giovani con tanto di cinema nei sotteranei della chiesa, prendendo egli stesso la licenza comunale di esercente le cineriproduzioni; chiama sacerdoti salesiani a tenere conferenze in occasione delle feste della famiglia religiosa; organizza pellegrinaggi a Roma, alla basilica del Sacro Cuore di Gesù in via Marsala, voluta dal santo Fondatore, oppure alla nuova basilica di Don Bosco al Tuscolano. Da cotanta semina nasce molto frutto. Nella Comunità fioriscono vocazioni in ambito salesiano, con uomini che diventano coadiutori laici, come Valentino Nocchi, che partirà missionario per il Paraguay, o lo stesso fratello di Luigi, Tommaso, che seguirà le orme del fratello più grande in Amazzonia, sempre come coadiutore laico, tra gli indios Yanomami. Anche Luigi scegliere di avviarsi alla vita consacrata all’interno della famiglia salesiana. Ma da subito sente di farlo come missionario.

 8 dicembre 1958, Padre Luigi è ordinato sacerdote a San Paolo del Brasile

Il ricordino dell'ordinazione e della prima messa (9 dicembre 1958)

Quando l’8 dicembre 1958 è consacrato prete, a poco più di ventisette anni di età, si trova infatti a San Paolo del Brasile, dove nel seminario salesiano si è preparato al sacerdozio missionario. Ha passato qui gli ultimi anni della sua vita, seguiti alla professione perpetua (1953), dopo aver svolto il noviziato a Roma, per il quale viene accolto nella famiglia salesiana nel 1947. Sul retro del ricordino dell’ordinazione e della prima messa (9 dicembre 1958), scrive “O Gesù, per il mio sacerdozio concedi al babbo e la mamma di vedermi salire il tuo altare. Alla sorella le tue grazie. Ai fratelli lontani, la perseveranza nella vocazione. A quanti prepararono questo giorno, le tue celesti benedizioni. A me, il tuo amore per le anime.” Mentre il programma intero della sua vita lo racchiude in un versetto del Vangelo di Giovanni: “Farò conoscere il tuo nome agli uomini affinché regni in essi l’amore” (Gv. 17,26). Con un proposito così, che contiene tutto il suo spirito missionario, dopo l’ordinazione sacerdotale viene inviato a Manaus, dove lavora per qualche mese nel collegio salesiano della città. Come ricorda Padre Gianni Mometti, missionario della Diocesi di Brescia: "...diventato prete, dopo quattro anni di teologia realizzati in Brasile, precisamente a Sao Paolo, Padre Luis era richiesto da parecchi superiori, per le sue doti non comuni, e per la sua spiccata intelligenza, unita sempre ad uno spirito di grande praticità. Fu una vera lotta, fra i pretendenti ed il missionario, perché mentre gli uni lo volevano nei grandi collegi delle capitali, lui era totalmente deciso di andare a lavorare con i suoi cari «indios» dell'immensa Amazzonia. Diceva appunto che era venuto in Brasile per lavorare e morire con quelle creature, che lui aveva sempre amato, fin da quando aveva sentito parlare di loro dai missionari che passavano nella casa di formazione. Fu lui il vittorioso, e passò il primo anno del suo lavoro apostolico nel primo centro missionario di Marcelos, sul Rio Negro." [2a]

Dopo Marcelos, ancora novello sacerdote è inviato a Jauareté (che in lingua india significa “cascata del leone”), dove fonda una missione che contribuisce a dotare di un ospedale, una scuola, una chiesa e addirittura di una fornace di laterizi, per insegnare agli indios la tecnica delle costruzioni in muratura. "A Jaureté maturò ancora di più la sua vocazione missionaria e si sentì chiamato a lavorare con una tribù di indios, fino allora lasciati da parte e che erano disprezzati da tutti: i «MAKUS», che nel loro linguaggio vuoi dire «Figli della tigre», ma che per tutti gli altri indios significava e signjfica tuttora, «schiavi, ignoranti, capaci a nulla…". [2b]

Ma i salesiani a quel tempo sono impegnati  anche nella fondazione di una nuova prelatura a Humaità, guidata dal vescovo Mons. Domitrovisch. Il Rettor Maggiore, don Renato Ziggiotti, al Capitolo Superiore del settembre del 1961 lancia l’appello per evangelizzare quello che “…è un campo vastissimo che non conta ancora una decina di sacerdoti e attende rinforzi. Sono zone in cui basta avere zelo missionario e le popolazioni si lasciano facilmente conquistare dalla Grazia[3].

Manaus, 22 febbraio 1962. Siamo nella casa salesiana e la foto è un ricordo del sacramento della confermazione di questi due ragazzi.

Padre Luigi aderisce all’invito e si sposta così dalla prelatura del Rio Negro a quella di Humaità, dove partecipa a fondare la missione del luogo. Qui il lavoro missionario si svolge tra i "siringueiros", i poveri lavoratori estrattori della gomma, tagliatori di legna e pescatori, sfruttati dalle multinazionali. Nel 1963 torna a Capranica per qualche mese a causa di un malesse che non può curare in Brasile, "che si manifestava con dolori indescrivibili e che quasi lo paralizzava in tutti gli arti inferiori (...) Un frate, non mi ricordo più di dove, trovò la causa del suo male, e con medicine casalinghe lo curò perfettamente. Per questo frate lui riservò sempre una grande gratitudine, perché a lui doveva il ritorno fra i suoi «indios» e quello che contava di più senza più quei terribili dolori." [3a].

Luglio 1965. Si parte per la missione del Maturacà. Gruppo di salesiani prima dell'imbarco su un bimotore dell'aeronautica militare brasiliana. Padre Luigi è indicato dalla freccetta rossa.

Nella primavera del 1965 fino all’estate è di nuovo a Roma, dove presso l’Università Pontificia Salesiana viene celebrato il 19° Capitolo Generale della Congregazione. Ha quindi anche la possibilità di tornare a Capranica insieme a Don Michele Ghigo, che ospita a casa dei suoi genitori. Quando torna in Brasile, viene chiamato a lavorare in un’altra missione, stavolta nella profonda Amazzonia, a oltre 1000 chilometri da Manaus. Il fiume che si snoda in questa regione come un gigantesco serpente, il Maturacà, nasce dalle vicine montagne del Venezuala, ma come annota Padre Luigi, questo “…nome non figura neppure nelle carte geografiche più perfette[4]. Insieme al coadiutore Mario Cravero, fonda una missione tra gli  indios Koroscitari, in un villaggio di appena trecento persone, ai piedi della montagna più alta del Brasile, il Picco della Nebbia: Cauaburi.

O Pico da Neblina, il Picco della Nebbia, ai cui piedi sorge la missione salesiana del Maturacà

Con alcuni volontari salesiani

Celebrazione della Santa Messa nella missione del Maturacà

Insieme ad un bimbo indio

Fino a pochi anni fa i Koroscitari – scrive in un articolo apparso sul Bollettino Salesiano del 1° maggio 1971, appena qualche giorno prima della sua morte – erano il terrore dei civilizzati che si avventuravano nel fiume Cauaburis (ove si getta il Maturacà, n.d.r.) in cerca di avventure o di qualche metallo prezioso[5]. Quando Padre Luigi arriva a Maturacà, i Koroscitari non sono che “Una delle tante tribù che popolano questa regione che si conserva ancora tale quale uscì dalla mano di Dio”[6]. Il lavoro della missione viene anche filmato in un documentario prodotto dalla Congregazione, e che sarà poi acquistato dal Consiglio Pastorale di Capranica nel 1972, dal titolo “Agonia di un popolo che canta”.

Perché i Koroscitari cantano sempre. “Cantano nel percorrere distanze enormi nella foresta da un villaggio all'altro; cantano durante i loro lavori; cantano gli uomini per ore e ore quando sotto gli effetti di una droga narrano con il canto scene di caccia, lotte sostenute con gli avversari o addirittura con degli spiriti malefici. Cantano soprattutto durante le feste tradizionali per notti intere, prima le donne fino alla mezzanotte e dopo gli uomini fino all'alba”[7].

Nell'articolo descrive poi i riti funebri di questi indios, che si concludono con un banchetto a base di banane bollite e ossa di defunti triturate. Descrizione che anticipa in qualche modo in una lettera all’amico Umberto Mantrici, dove scrive: “Nel mese passato abbiamo avuto le feste patronali, cioè le feste in onore dei defunti. Ti mando qualche foto con delle scene. Il finale invece dei fuochi artificiali è una pentola piena di banane con ossa dei defunti. Tutti ne mangiano un poco e così qui le persone che durante la vita alle volte non sono servite a nulla, almeno dopo la morte servono come vitamina[8].

Indios Koroshitari nella missione del Maturacà

A Capranica, con i ragazzi e le dirigenti parrocchiali di Azione Cattolica. Siamo all'inizio della primavera del 1965 e Padre Luigi è in Italia per partecipare al 19° Capitolo Generale dei Salesiani. Con lui, nella foto, il parroco di Santa Maria, Don Alberto Bonini, e l'arciprete parroco di San Giovanni, Don Antonio Pompei.

Un biglietto di invito ad un incontro di raccolta fondi per le missioni, con Padre Luigi nella saletta di San Giovanni. L'invito recita: INTERVENITE!!! Ascolterete e vedrete cose INTERESSANTISSIME!!!.

La scimmietta Lica, portata a Capranica da Padre Luigi nel dicembre del 1968. Morirà nell'estate del 1971, qualche mese dopo la morte di Padre Luigi

I suoi ritorni a Capranica sono un festa per tutti, non solo per gli adorati nipoti che lo chiamano zi’ Barbo’, ma anche per i ragazzi dell’Azione Cattolica, che lo chiamano Padre Barbone, esattamente come fanno i suoi indios, e per tutta la Comunità.  Nel 1968, a ridosso del Natale, torna a casa per un lungo periodo di riposo. E’ in questa occasione che porta con se la mitica scimmietta Lica. In pieno inverno, per non far soffrire di freddo la simpatica bestiola, la sorella Santina gli confeziona una sorta di cappotto di lana, di cui però l’animale si libererà dopo appena un paio d’ore. Nella lettera del 2 maggio 1971 a Umberto Mantrici, ha un pensiero anche per lei: “Ho piacere che Lica stia viva e contenta. Adesso con la nuova stagione cambierà un’altra volta di pelo[9]. Morirà qualche mese dopo, ma non come racconta favolisticamente qualcuno, a causa delle percosse ricevute in seguito alla sconfitta dell’Italia contro il Brasile nella finale del campionato mondiale di calcio del 1970, bensì per banale avvelenamento alimentare, perché il suo fegato non ha retto ai gelati e agli altri cibi che estemporaneamente le venivano offerti da bambini e adulti.

L’ultima partenza di Padre Luigi per l’Amazzonia diventa un evento memorabile per tutta Capranica. Alle ore 21,00 di sabato 21 giugno 1969, dal sagrato della Chiesa di San Francesco, concelebra una messa insieme al vescovo Mons. Marcello Rosina, alla presenza dei parroci e delle autorità cittadine. La piazza è gremita di gente accorsa per abbracciare il suo Missionario che parte di nuovo per l’America. La descrizione della cerimonia del 21 viene anticipata dall’indimenticabile Umbertino, in un articolo dove annuncia che per la sera della partenza, prevista per il 25 giugno alle 23,30, “…verranno organizzati dei pullman per accompagnare il missionario a Fiumicino. Le iscrizioni si ricevono presso i parroci don Antonio Pompei e don Antonio Paglia[10]

21 giugno 1969, si celebra la messa di partenza di Padre Luigi. Accanto a lui il sindaco Anselmo Crocicchia.

E' lo stesso Umbertino che descrive in un secondo articolo il clima della partenza a Fiumicino, raccontando anche la "piacevole coincidenza" dell’incontro con Pelè e tutta la squadra del Santos[11]. La squadra carioca era infatti reduce dalla vittoria per 1-0 contro l’Inter a San Siro[12], nella finale di andata della Supercoppa dei Campioni Intercontinentali, e nel viaggio di ritorno in Brasile aveva fatto scalo a Roma. ‘O Rey e compagni portavano con loro il grande trofeo, che non disdegnarono di ostentare orgogliosamente, dispensando autografi a destra e a manca a tutti i capranichesi giunti in aeroporto per salutare Padre Luigi.

Dalla viva penna di Umbertino, ecco la descrizione dell’evento:

"CAPRANICA – 27. Hanno fatto ritorno in Brasile con il volo 835 della «Varig» in partenza da Fiumicino alle ore 23,40 Padre Luigi Di Stefano e Pelè con tutta la squadra del Santos. Questa strana coincidenza ha entusiasmato tutti, dico tutti, amici, curiosi il personale dell’aerostazione, la massa di turisti in arrivo e partenza. Alle 21,10 sono arrivati all’aeroporto il pullman degli amici capranichesi e quello della squadra del Santos; subito dopo è giunta la macchina con a bordo P. Luigi e i familiari. Non mancava la piccola squadra dei nipotini di P. Luigi.
Un’ovazione generale ha salutato l’arrivo degli illustri personaggi. P. Luigi da una parte gigantesco più che mai per la sua figura tipicamente missionaria, con la sua folta barba; Pelè dall’altra con i suoi amici giocatori. Dopo un cordiale scambio di saluti e una lunga stretta di mano, sono seguiti a ripetizione gli autografi che Pelè ha voluto rilasciare ai presenti. Poi le consuete procedure alla dogana, e qui abbiamo lasciato la comitiva del Santos.
Sono seguite le manifestazioni di simpatia della comitiva capranichese che si era ingrossata per il sopraggiungere di altre macchine di amici da Roma.
Messa al bando l’etichetta che si conviene osservare nei luoghi aperti al pubblico, i giovani dell’Azione Cattolica di Capranica, per voci canore di Maretta Platti e di Don Antonio Pompei, hanno indirizzato apposite canzoncine di addio al caro P. Luigi, missionario in partenza per l’Amazzonia.
Pier Luigi Nicolini ha intonato poi l’ormai immancabile «Viva Capranica» che tutti in coro hanno cantato a squarciagola, richiamando l’attenzione e la curiosità dei passeggeri. P. Luigi si è commosso. Un tremito ha invaso tutti i presenti, un pensiero è corso alla sconfinata Amazzonia, una preghiera di un felice ritorno è stata sommessamente pronunciata dai presenti, e gli occhi di tutti sono diventati lucidi prima che un fragoroso «Urrà» al caro missionario concludesse la manifestazione.
Si è atteso l’arrivo da Milano del volo Alitalia che portava P. Giuseppe Dalla Valle compagno di viaggio e di missione di P. Luigi. Due boy scouts hanno atteso alla porta P. Giuseppe. E’ arrivato maestoso e raggiante ancora una volta per la sua nuova partenza per la missione. Si sono ripetute scene di entusiasmo e di cordiale intrattenimento canoro. Il tempo pertanto è trascorso veloce, il volo 835 era pronto e i cari amici P. luigi e P. Giuseppe insieme alla squadra del Santos hanno varcato la passerella: il venticello marino, freddo della notte, ha fatto da trait d’unione fra noi che eravamo sul terrazzo ad acclamare e i partenti che salutavano. P. Luigi ostentava un sorriso sincero su di un viso entusiasta. Toninho e Pelè ci hanno salutato con un evviva alzando in alto una grande coppa. UMBERTO MANTRICI
”.

Giugno 1973, la salma di padre Luigi Di Stefano torna a Capranica. La fila di gente che segue il feretro è lunga 250 metri. Ai lati del vescovo Mons. Marcello Rosina (al centro, precede la bara), Don Antonio Paglia (a sinistra), parroco di Santa Maria, Don Antonio Pompei (a destra), parroco di San Giovanni.

Il corpo di Padre Di Stefano viene portato in Italia, e quindi a Capranica, alla fine della primavera del 1973. Ma non è stato affatto facile riportarlo a casa. Le leggi brasiliane impongono, infatti, che non si possa traslare una salma prima di 18 mesi dalla sepoltura. E Padre Luigi viene sepolto a Santa Isabele di Tapuruquara. E’ ancora Don Michele Ghigo a darci conto del suo funerale: "Le campane suonarono a martello e si preparò una bella cassa mortuaria, nel frattempo i fedeli riempirono la chiesa e si recitò il rosario ed il cadavere era nel centro della chiesa dove fu sepolto Don Luigi Montini nel 1963. Alle 11,00 dello stesso giorno (il 12 maggio 1971, n.d.r.), più di 250 ragazzi della scuola, tutto il popolo, l’autoparlante della torre e le campane chiamarono tutti, fu celebrata la messa presente il cadavere e si accompagnò al cimitero. Fu sepolto vicino ad un altro salesiano diacono Stefano Trohant, morto pure lui in febbraio di quest’anno[13]. A Capranica, per iniziativa del Consiglio Pastorale, parte una sottoscrizione per pagare le spese del trasporto in Italia. Riceve moltissime adesioni: vengono raccolte oltre 1.000.000 di Lire, che sono destinate anche per l’acquisto di una copia del documentario “Agonia di un popolo che canta”. Nasce anche una polemica tra forze politiche con i socialisti, in quel tempo all’opposizione, che accusano l’amministrazione democristiana del sindaco Nicolini, durante un consiglio comunale, di aver voluto cavalcare l’onda emotiva. Il Consiglio Pastorale, sentitosi investito, decide di rispondere qualche giorno dopo pubblicando un manifesto. Fortunatamente le chiacchiere finiscono quasi subito. In fondo tutti volevano bene a Padre Luigi, e fra questi anche i socialisti, che desistono così dai loro attacchi.

Il giorno dell’arrivo della salma di Padre Luigi una folla enorme attende il suo arrivo a for di porta. C’è tutta Capranica ad aspettarlo. Ed è Capranica intera ad accompagnarlo nella chiesa di San Giovanni. Anche se nella grande aula non c’è posto per tutta quella gente. Qualcuno deve rimanere fuori, nella piccola piazza che tante volte lo ha visto passare per entrare in chiesa, sin da bambino, e poi da ragazzo più grande quando ha maturato la sua vocazione. Tutti i capranichesi vorrebbero dire una parola, esprimere un pensiero, rievocare un ricordo che li lega a Padre Luigi. Gli basta esserci, emozionati e silenziosi, per pregare e per dire addio al loro Padre missionario salesiano. E soprattutto per salutarlo un’ultima volta e dirgli grazie per la sua vita spesa agli estremi confini del mondo. Tra gli ultimi, dalla parte degli ultimi.

P.S. Ringrazio infinitamente la famiglia di Padre Di Stefano, ed in particolare la cara amica Angela Barella, per aver messo a disposizione di Capranica Storica, e di tutta Capranica, il materiale pubblicato in questo articolo. Grazie, soprattutto, per aver contribuito a mantenere viva la memoria di uno dei protagonisti del '900 capranichese. Perché anche questa è Storia. La nostra piccola preziosa Storia locale.

Fabio Ceccarini

Il ricordino funebre


La copertina della rivista salesiana "Mamma", del luglio 1971


Il documentario delle Missioni Don Bosco, "Agonia di un popolo che canta", incentrato sulla missione del Maturacà e il lavoro di evangelizzazione di Padre Luigi Di Stefano


Note


[1] Don Michele Ghigo, Lettera ai familiari, 14 maggio 1971

[2] Comune di Capranica, Stato Civile, atto di nascita 1931, p. I, n. 61

[2a] Padre Gianni Mometti, Adeus, querido Padre Luis, Mamma a tutte le mamme del mondo, settimanale delle Opere Missionarie di Papa Giovanni XXIII, n. 27, terza settimana di luglio 1971 (VI), pp. 10-11. Su Padre Mometti: https://www.vaticannews.va/it/chiesa/news/2019-01/sinodo-amazzonia-padre-mometti-progetto-nuovo-mose-pesce-riso.html

[2b] Ivi

[3] Atti del Capitolo Superiore 1961, ACS 221, p. 6

[3a] Padre Gianni Mometti, Adeus, querido Padre Luis, cit.

[4] Don Luigi Di Stefano, La grande festa delle ossa carbonizzate, Bollettino Salesiano, 1° maggio 1971, n. 9 (XCV), pp. 26-28

[5] Ivi

[6] Ivi

[7] Ivi

[8] Don Luigi Di Stefano, Lettera a Umberto Mantrici, 2 maggio 1971

[9] Ivi

[10] Umberto Mantrici, Padre Luigi Di Stefano riparte per l’Amazzonia, “il Tempo” del 17 giugno 1969

[11] Umberto Mantrici, I capranichesi hanno salutato a Fiumicino Padre Luigi e Pelè, “il Tempo” del 27 giugno 1969

[12] Gol di Toninho Guerreiro che calciò in porta una corta respinta di Bordon su un violento tiro da fuori area di Pelé su punizione al 12’ del secondo tempo. https://www.youtube.com/watch?v=qTEoiLYqgi0. La competizione era stata ideata nel 1967. Non fu mai disputata la gara di ritorno e la competizione è stata assegnata definitivamente al Santos nel 2005.

[13] Don Michele Ghigo, Lettera ai familiari, cit.


Per citare questo articolo

CECCARINI, Fabio, «Da Capranica all'Amazzonia. Ricordo di Padre Luigi Di Stefano nel 50° della morte», Capranica Storica, 05/05/2021 - URL: https://www.capranicastorica.it/2021/05/da-capranica-all-ricordo-di-padre-luigi.html

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