giovedì 2 maggio 2019

La lunetta dell’Ospedale di San Sebastiano di Capranica. Qualche nota di lettura.

Lunetta dell'Ospedale di San Sebastiano, a Capranica

di Fabio Ceccarini

In corso Francesco Petrarca, al centro esatto di quello che oggi costituisce il luogo per eccellenza della vita sociale e politica capranichese, sorge l’antico Ospedale di San Sebastiano, un edificio rinascimentale che presenta un notevole portale di epoca altomedioevale, oggetto del presente articolo. Se l’istituzione Ospedale di San Sebastiano affonda le sue radici probabilmente nel XV secolo (anche se nel catasto del 1434, uno dei più antichi d’Italia, si trova menzionato genericamente un “ospedale” che però potrebbe essere stato quello della Santa Croce), la sede delle sue attività non è stata sempre dove la vediamo oggi.

Con la sistemazione del Borgo rinascimentale tra la porta dell’Orologio e la Porta Sant’Antonio, operata a più riprese per volere dei Cardinali Governatori, fu infatti naturale spostarvi anche l’Ospedale, che sotto il nome della Santa Croce, trovava posto fino ad allora in un fabbricato (l’odierno circolo ARCI) ubicato a ridosso di quello che un tempo fu il possente castello innalzato dagli Anguillara, sulla via centrale del borgo più antico (la via “piccina” o “piccinella”, da cui l’odierno vocabolo Viccinella). Il nuovo centro direzionale creato dai Governatori pontifici, con la curia del Governatorato, l’annessa caserma delle truppe di guardia alla città e il palazzo “Communitativo” (della Comunità), veniva quindi completato con la nuova ubicazione dell’Ospedale di San Sebastiano, che dal resoconto della visita apostolica ordinata da papa Gregorio XIII ed eseguita il 29 gennaio 1574 da Mons. Alfonso Maria Binarini, vescovo di Rieti  sappiamo essere dotato di una chiesa con annessa omonima Confraternita.

Una cartolina del 1913 recante la vecchia iscrizione

Il portale dell’Ospedale, secondo alcuni autori, sarebbe proveniente dalla demolizione, avvenuta nel 1801, della vecchia chiesa Collegiata di San Giovanni Evangelista, dove a sua volta sarebbe stato collocato in seguito alla distruzione della chiesa abbaziale di Santa Maria in Campis, a Vico Matrino. La notizia è riportata prima da Pacifico Chiricozzi (Le chiese di Capranica, 1983, p. 145), poi da Carla Guglielmi («Considerazioni sul portale dell'Ospedale di San Sebastiano in Capranica», Paragone, xxxiv (1983), p. 30, anche se l’autrice riprende il Chiricozzi), quindi da Trento Morera (Capranica nella storia e nell’arte, 1994, p. 57) il quale afferma – senza citare fonti – che il portale, proveniente da San Giovanni, dove era stato portato in seguito al suo ritrovamento in uno scavo a Vico Matrino, fu eretto qualche anno prima della costruzione del nuovo ospedale, che sarebbe terminata nel 1825. In effetti, esiste un documento del 1825 (si tratta di una cosiddetta “supplica”, ovvero di un’istanza al Vescovo), e cioè degli anni in cui ferveva la costruzione della nuova chiesa di San Giovanni (terminata alla fine degli anni Venti del XIX secolo ma consacrata nel 1842), in cui è attestata l’esigenza da parte dell’Ospedale, di riparare il portale d’accesso. La Reverenda Fabbrica di San Giovanni si farà carico della riparazione in cambio di verghe di ferro che verranno utilizzate nel cantiere della nuova collegiata (Archivio Diocesano, Fondo Capranica, Parrocchia di San Giovanni Evangelista, Carteggi, Fabbrica di San Giovanni: progetti, lavori, spese per la nuova chiesa). Il rescritto vescovile con l’autorizzazione è del 25 novembre 1825. Tuttavia, non abbiamo ad oggi nessuna certezza suffragata da fonti scritte, che si sia provveduto ad installare il portale della vecchia chiesa di San Giovanni nell’Ospedale di San Sebastiano in seguito alle esigenze riportate nella suddetta supplica (dove si parla sempre di porta, e mai di portale). Mentre da vecchie cartoline è possibile desumere invece che l’installazione del portale sia stata completata nel 1860. Infatti, la grande lapide che campeggia al centro del portale e che riporta oggi l’iscrizione “Ospedale Civile San Sebastiano”, fino agli anni Venti del XX sec. riportava invece la scritta “Nosocomium sub auspiciis divi Sebastianis martiri iamdiu erectum iterum instauratum Anno Di MDCCCLX”. Ma l’anno riportato nell’iscrizione non necessariamente corrisponde all’anno in cui il portale è stato sistemato nella sua nuova sede. Infatti l’epigrafe evidenzia come l’Ospedale sotto gli auspici del divo Sebastiano martire sia “da molto tempo (iamdiu) nuovamente (iterum) eretto (erectum) e preparato (instauratum)”, a significare forse che i lavori dovevano essere finiti già da tempo, e pertanto in anni molto a ridosso di quelli in cui si terminava la costruzione della nuova chiesa di San Giovanni Evangelista, e quindi da almeno un trentennio. 

Una raffigurazione della Mater Ecclesiae

Ma a parte le vicende legate all’odierna collocazione del portale, vogliamo proporre qualche chiave di lettura dell’allegoria rappresentata nella lunetta. E’ interessante preliminarmente far notare, come la lunetta dell’Ospedale Civico di San Sebastiano sia forse l’opera d’arte capranichese, fatta eccezione per il santuario della Madonna del Piano, che è stata oggetto di maggiore interesse da parte degli studiosi di storia dell’arte. Se Corrado Ricci (L’architettura romanica in Italia, Stuttgart 1925, figg. pp. 144-145), la include semplicemente nel suo repertorio di immagini, Reza de Francovich («La corrente comasca nella scultura europea. I - La nascita; II - La diffusione», RIASA, VI (1937), p. 79), la elenca tra gli esempli scultorei del Lazio settentrionale che riportano evidenti segni stilistici lombardi, frammisti ad elementi orientaleggianti, classici e umbri. Emilio Lavagnino (Storia dell’Arte Italiana, Torino 19602, pp. 399-400) afferma che la scultura capranichese deriverebbe da “…una diretta ispirazione da miniature nordiche, (…) caratterizzato da quel tipico horror vacui che già troviamo nell'età preromanica e dalla quale possono apparire come un raffinamento ulteriore di motivi, portati a un'efficienza nuova di armonica stilizzazione. Racemi disposti a volute trasmettono il loro moto circolare a strani esseri antropocefali che ad essi s'avvinghiano, ultimo residuo d'un Medioevo fastoso; e intrecci viminei si moltiplicano, intrecciandosi, a colmare lo spazio tra quelli, come una flora lussureggiante su un terreno troppo fertile: ma gli uni e gli altri non soverchiano, con l'umano aspetto dei gesti, la serenità Cosmica che in sé li raccoglie, concludendo in pacificata cadenza di modulazioni linearistiche…”. Secondo il Lavagnino “…il più bell'esempio di questo modo decorativo è la lunetta sulla porta dell'Ospedale civico a Capranica di Sutri (fig. 319)”. Agli inizi degli anni ’70 del XX sec., Joselita Raspi Serra (Tuscania. Cultura ed espressione artistica di un centro medievale, Roma 1971 e La Tuscia Romana. Un territorio come esperienza d’arte: evoluzione urbanistico-architettonica, Roma 1972) la collega stilisticamente ai portali di Santa Maria Maggiore, a Tuscania, e ne ipotizza matrici lombarde basandosi sulla presenza (ma non soltanto) dell’archivolto a sezione circolare che incornicia l’intera lunetta, elemento diffuso anche in Umbria. Successivamente, la stessa Raspi Serra (Le diocesi dell'Alto Lazio. Bagnoregio, Bomarzo, Castro, Civita Castellana, Nepi, Orte, Sutri, Tuscania, in «Corpus della scultura altomedievale», vol. viii, Spoleto 1974), pur non comprendendo l’opera tra quelle rientranti nel periodo storico che passa in rassegna, presenterà esempi di intrecci viminei di opere simili nel territorio della Tuscia, che sono assolutamente raffrontabili con quelli che compaiono sulla lunetta e nelle decorazioni dei capitelli. E poi altra interessante letteratura che ricordiamo qui in maniera veloce: Gatti R., «Precisazioni su alcuni portali romanici nell'Umbria meridionale», Commentari, XVII (1966), pp. 16-24; Parlato E. - Romano S., Roma e il Lazio, Milano 1992, p. 390; nonché le più divulgative Bottali P., Lazio sconosciuto: cento itinerari insoliti e curiosi, Milano 1983, pp. 57-58, fig. a pag. 58; Stopani R., Guida ai percorsi della Via Francigena nel Lazio, Firenze 1996, p. 49-51, fig. p. 51.

Una raffigurazione di una mostruosa arpìa nell'atto di addentare i tralci della vite-Chiesa

Tra i saggi che hanno come oggetto di interesse la nostra lunetta, una analisi dettagliata dell’opera dal punto di vista artistico appare nel già citato saggio di Carla Guglielmi, «Considerazioni sul portale dell'Ospedale di San Sebastiano in Capranica», apparso sul numero XXXIV della rivista Paragone, nel 1983 (pp. 30-47). La Guglielmi, oltre a passare in rassegna gli elementi stilistici con la conclusione che la fattura della lunetta rimanda a maestranze lombarde e comacine, si lancia in una interessante analisi delle figurazioni che l’ignoto maestro scultore ha voluto realizzare. Benché secondo l’Autrice, la materia meriterebbe una più ampia e completa trattazione, la complessa rappresentazione all’interno della lunetta, è sicuramente interpretabile nell’ambito della eterna lotta tra bene e male. La Guglielmi divide infatti la lunetta in due “mondi”: uno inferiore, dove albergano esseri mostruosi, arpìe, bestie fameliche, e uno superiore, dove regna la pace e la serenità, abitato da passeri, cervi e leoni pacifici. All’interno dei due mondi si sviluppa con vigorosi racemi una vite, simbolo della Chiesa. Tra le foglie e gli intrecci viminei in effetti, compaiono sia creature mostruose o comunque fantastiche e non esistenti nella realtà - e per questo straordinariamente cariche del mistero dell’ignoto e del male che possiede molte facce -, sia animali reali a cui l’iconografia cristiana ha sempre attribuito significati ben precisi. Ed è proprio la presenza di alcuni simboli inequivocabilmente riferibili alla tradizione iconografica cristiana che porta a considerare l’intera scena come una allegoria della Chiesa, la vite, la cui esistenza è eternamente minacciata ed avversata dal male. In questo quadro quindi, i grappoli d’uva sarebbero i frutti eucaristici che la Chiesa porta nel mondo. Frutti che vengono piluccati da passeri affamati, che rappresentano l’ingordigia (il seme mangiato dai passeri, di evangelica memoria), tralci che vengono addentati da arpìe e da mostri terribili, tra cui si muovono i cervi che rammentano il battesimo e l’appartenenza alla Chiesa di Cristo. 

Un leone

E poi, ancora, l’immagine di donna in trono sulla parte destra della composizione, non è altro che una ennesima rappresentazione della stessa Chiesa, direttamente ispirata all’iconografia orientale della Mater Ecclesia, che regna nei secoli per mandato di Gesù Cristo e per mezzo della quale Egli si rende visibile “…tutti i giorni fino alla fine del mondo” (Mt 28,20). Ma la figura più problematica da analizzare è senz’altro quella dei leoni. La lunetta ne riporta quattro, ed anche questo numero non ci fornisce grosso aiuto. Seguendo lo schema proposto da Carla Guglielmi, i due collocati nella parte superiore potrebbero essere riferiti all’immagine di Cristo. Egli, nel tetramorfo apocalittico, è “homo vivendo, vitulus moriendo, leo resurgendo, aquila ascendendo”. Ma nel tetramorfo, a significare la regalità di Cristo, c’è un solo leone simbolo di misericordia. E così, nei bestiari medievali, dove il leone è quasi sempre rimando alla risurrezione di Gesù. Il fatto che nella parte superiore vengano rappresentati due leoni e non uno, costituisce un problema per identificarvi inequivocabilmente Cristo. E’ chiaro, tuttavia, che debbano comunque essere considerati nel quadro delle forze del bene. Basta anche notare l’ordinata e maestosa criniera e raffrontarla con quella arruffata dei due leoni rappresentati ad infera. E questi? Come interpretarli? Nella Bibbia (sia nell’A.T. che nel N.T.), il leone è sempre simbolo ambivalente. Lo ritroviamo simbolo di vita, animale dal portamento maestoso (Pr 28,1; 30,29-30), ma anche predatore di greggi (1Sam 17,34) ed uccisore dell’uomo (1Re 13,24-25; 20,36). Dio stesso è come un leone quando si tratta di scatenare la sua collera verso i superbi (Sir 27,28). 

Un leone (a sinistra) e un'arpìa (a destra), nell'atto di addentare i tralci della vite

Le potenze Assire e Babilonesi che attentano all’esistenza di Israele, pecorella indifesa, sono come leoni feroci che gli si avventano addosso (Ger 50,17). Secondo il profeta Amos, la parola che Dio rivolge al suo eletto è simile al ruggito del leone, una voce potente che fa tremare suscita timore e provoca la conversione (Am 3,4-8). L’Apostolo Paolo nella seconda lettera a Timoteo, racconta come Dio lo abbia liberato dalla bocca del leone, a significare come sia scampato alla morte per intervento diretto di Dio (2 Tim 4,17). Ed infine, come non ricordare che nella prima lettera di Pietro, il leone è chiarissimo simbolo del demonio che, come un leone ruggente, va in cerca della preda da sbranare (cfr. 1Pt 5,8)? Dal lato ascetico, invece, il leone è spesso simbolo della concupiscenza dell’orgoglio della vita, nonché rappresentazione dell’eresia. Ecco quindi che questi due leoni, attentatori dei tralci della vite-Chiesa di Cristo, possono anche essere identificati come un rimando alle voci potenti dei falsi profeti, che fanno da contraltare alla voce potente dei leoni posti nella parte superiore e che traviano l’uomo dalla retta via e lo allontanano dalla verità. Dopotutto, il maestro o i maestri scultori autori della lunetta di Capranica sono probabilmente di origine lombarda, dove forte, durante il secolo XII e il successivo XIII, hanno soffiato i venti delle idee dei Càtari o dei dolciniani o, ancora, degli spiritualisti di Gioacchino da Fiore. Hanno sentito le voci dei leoni che cercano di spezzare i tralci della vite e riportano la loro esperienza nella catechesi visuale – la biblia pauperum - dell’intera composizione.


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CECCARINI, Fabio, «La lunetta dell’Ospedale di San Sebastiano di Capranica. Qualche nota di lettura.», Capranica Storica, 02/05/2019 - URL: https://www.capranicastorica.it/2019/05/la-lunetta-dellospedale-di-san.html

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