domenica 15 gennaio 2017

Everso dei Conti dell'Anguillara. Chi era davvero?


di Fabio Ceccarini

Everso dell'Anguillara, Conte di Anguillara Sabazia, Signore di Cerveteri, Anguillara Sabazia, Carbognano, Caprarola, Ronciglione, Capranica, Vetralla e Santa Severa, rappresenta il classico esempio di signore dispotico e gretto, assolutamente slegato dalle evoluzioni socio-culturali che attraverso l'Umanesimo traghettano il medioevo verso la modernità. Una personalità controversa tout-court forse non ancora completamente indagata dagli storici. Ma chi era Everso dell'Anguillara? Un valoroso condottiero? Uno scaltro opportunista e voltagabbana politico? Uno spietato assassino? Cerchiamo insieme di ripercorrere in questo articolo i tratti salienti della sua personalità.


Fig. 1 - Il palazzetto della Famiglia Anguillara, a Roma in Piazza Sonnino. Oggi ospita la sede della "Casa di Dante"

Il Conte Everso, o Avverso, figlio di Dolce I del ramo di Anguillara, nasce intorno al 1398. Spregiudicato e valente uomo d’arme, accorto tessitore e negoziatore di intrighi ed alleanze, Everso mira da subito ad ingrandire i domini familiari nel Patrimonio di San Pietro a spese dei Di Vico. E per questo motivo, al fine di realizzare il suo disegno di egemonia, si mette sin da subito al servizio del Papa, abbracciando la parte guelfa. La sua attività di condottiero di ventura è instancabile, così da divenire sin dalla giovane età l’unico incontrastato leader della famiglia. Il suo vertiginoso cursus honorum si riempie così scorrerie, battaglie, assalti, agguati, assedi e saccheggi. Comincia subito, giovanissimo, affiancando nel 1416 il fratello Dolce (II) ed i congiunti Giovanni, Angelo e Giovanni in alcune scorrerie nel territorio di Sutri. Di parte guelfa, nel novembre del 1418 rende atto di omaggio al papa Martino V. Ma è agli inizi degli anni ’30 che il suo nome si comincia ad affermare tra i capitani di ventura e i condottieri della nobiltà baronale romana.

Nell’aprile del 1431 viene nominato commissario del Patrimonio di San Pietro e durante lo stesso anno si accorda con il protonotario apostolico Francesco Condulmer per combattere i Colonna ottenendo una provvigione mensile di 240 fiorini. Intanto predispone un valido sistema difensivo dei possedimenti familiari, rinforzando il castello di Anguillara, tenuto dal fratello Dolce (II), quello di Capranica, ove risiede il cugino Giacomo, e di Ronciglione, che sceglie come propria residenza. Nemico acerrimo della famiglia dei Colonna, è da Ronciglione che sa di una razzia compiuta da Paolo Colonna nel territorio di Toscanella (Tuscania), conclusasi con il furto di 700 vacche portate verso Vetralla. Alla testa di 50 cavalli lascia la città e sconfigge il rivale recuperando il bestiame. Nel novembre dello stesso anno piomba sul castello di Vico e lo fa smantellare. Nel 1432, a settembre, attacca Vetralla con Giovanni Mostarda cingendo d’assedio la città.

Nel luglio del 1433 con Giacomo di Capranica, governatore di Castro, impedisce alle truppe pontificie di Micheletto Attendolo di entrare in Ronciglione ed in Capranica e ad ottobre, alla testa di 200 cavalli, torna a portare continui assalti a Vetralla ed a Montagnola. Approfittando della confisca da parte della Camera Apostolica ai Di Vico, acquista per 1750 fiorini il castello di Santa Severa. A dicembre, alla notizia che Angelo di Roncone si è impadronito di Blera con l'aiuto degli abitanti, da Cerveteri, con Orso Orsini e 300 cavalli, muove alla riconquista della località che è messa a sacco. Nel maggio del 1435 esegue varie scorrerie nei territori di Vetralla, Caprarola, Casamala e Carbognano. A giugno assedia Vetralla; devasta i raccolti del contado, come fa a Casamala, Caprarola, Carbognano e Giugnanello e ad agosto è ancora all'attacco della città, insieme a Paolo della Molara. Al termine della guerra, acquista Vetralla dai pontifici per il prezzo di 7.000 fiorini, nonché i castelli di Vico e Caprarola per altri 7.375 fiorini. Il Vitelleschi, che poco tempo prima aveva dovuto prendere misure per contenerne l’esuberanza, gli concede in enfiteusi Casamala dietro il canone di 10 libbre di cera.

Nel 1438, è al servizio della Chiesa, ed è in Umbria con il Roncone, Simonetto da Castel San Pietro e Baldovino da Tolentino, ed espugna il castello di Mucarone. A luglio, sempre in Umbria, combatte Corrado Trinci a Foligno ma è costretto a desistere per l'intervento del duca di Milano. A giugno del 1439, lascia il contado di Città di Castello ed alla testa di circa 2.000 cavalli assedia Borgo San Sepolcro (Sansepolcro), alla cui difesa si trova Francesco Piccinino depredandone il territorio con il Castel San Pietro e recuperando Selci, Fonteroccoli, Lugnano, Castelfranco e Pietralunga. Richiamato al campo dal Vitelleschi, nella stessa estate affronta i Trinci, costringe a patti Bevagna dopo quattro giorni di assedio ed attacca Foligno con il della Molara, Sbardellato da Narni e Tartaglia da Foligno (3.000 cavalli e 7/8.000 fanti), costringendo la città ad arrendersi e a venire a patti ai primi di settembre. Nel 1440 acquista Caprarola dai pontifici e qualche anno dopo, il 27 gennaio 1446, stipula con il cugino Giacomo di Capranica un accordo di fatto gli conferisce il governo e la difesa di Capranica.

Secondo questo accordo, il conte Giacomo, appartenente al ramo di Capranica della famiglia:
«…per potersi bene reggere et gubernare et mantenersi in tutte le sue terre et fortellizi maxime in nel castiello di Capralica et che nulla altra persona potente potesse tollarli né sforzarli… elege et deputa per aiutatore, defensore, aumentatore, et gubernatore lo magnifico et excellente Signore Conte Everso Conte de Anguillaria» (Sora V., «I Conti di Anguillara», Archivio della Società Romana di Storia Patria, XXX (1907), p. 104). Questo patto tra cugini, aprirà di fatto la strada ad Everso per raggiungere il pieno possesso del castello di Capranica.  In merito qualche autore, probabilmente basandosi sulla personalità del Conte – che Pio II, come vedremo più oltre, dipinge come avara del suo e avida dell’altrui  – insinua che egli venne in possesso del castello, pur se con modalità che restano ancora ignote, «forse anche senza rispettare i patti del 1446» (Sercia G., La pretesa feudalità di Capranica e le concessioni di Paolo II sul territorio di Vico, Ronciglione 1933, p. 5). E' un fatto acclarato, infatti, che nel suo testamento, il castello di Capranica viene annoverato tra i cespiti che sono trasmessi al figlio-erede Deifobo. Indice del fatto che la proprietà del feudo era passata a pieno titolo nelle mani di Everso.

Fig. 2 - Lo stemma di Everso II dell'Anguillara

Ma continuiamo con le "gesta" di questo Signore spregiudicato. Nel 1451, ad aprile, in Vico protegge Palemone dell'Abate, uomo d'arme di Simonetto da Castel San Pietro, e lo aiuta a vendicarsi dell'uccisione del padre, voluta anni prima da Giovanni Gatti, signore di Viterbo, padre dell'attuale signore Prencivalle. Dopo l'uccisione di quest'ultimo nei pressi di Sutri, Everso fa ospitare Palemone in Mugnano, presso il genero Matteo Orsini. A giugno del 1452, nei pressi di Montepulciano, con il figlio Deifobo e 1.000 cavalli si unisce con l'esercito napoletano capitanato da Ferrante d'Aragona. Ad agosto tende un agguato ad Astorre Manfredi, che mette in fuga con la perdita di 500 cavalli. A settembre con Giovanni Ventimiglia minaccia i senesi che non hanno voluto prestare soccorso agli aragonesi mentre nello stesso anno (1453), matura il suo passaggio contro la Chiesa, aiutando marca d'Ancona i ribelli del papa. Nel maggio del 1454 è assoldato da Spoleto per combattere gli abitanti di Norcia dietro un compenso di 15.000 ducati.

Il papa Niccolò V gli proibisce di accettare la condotta ma Everso rifiuta di obbedire ed assedia Norcia con 1.500 cavalli e 1.500 fanti ponendosi al campo della Sibilla ma conducendo fiaccamente le operazioni. Intanto Spoleto si sottomette lasciandolo solo e Braccio Baglioni con Giacomo da Sangemini lo costringono ad allontanarsi. A giugno fugge verso Leonessa, Cittaducale, Foglia (Magliano Sabina) perdendo 150 cavalli e 80 some di carriaggi. Attraversato il Tevere con 70 cavalli su tre barche, continua la fuga per Civita Castellana, dove può passare con la connivenza del congiunto Angelo di Roncone militante nel campo avverso. Si reca poi a Vetralla e vi fa uccidere e ferire alcuni suoi famigliari, colpevoli di aver raccolto dell'orzo senza il suo permesso.

A marzo del 1456 soccorre in Vetralla il rettore del Patrimonio, il vescovo di Siracusa Paolo di Santafede ed entra in Viterbo in occasione di alcune discordie cittadine. A gennaio del 1457 lascia Vetralla con 700 uomini ed attacca il castello di Tigliano ma la parte avversa lo obbliga a rientrare in Ronciglione. Ad aprile assale con 700 uomini Galera, alla cui difesa si trova Corrado d'Alviano con 200 soldati, in uno scontro che provocherà 24 morti e 40 feriti. A luglio Menelao di Vico gli toglie Caprarola e a settembre sigla una nuova tregua con Napoleone Orsini. A dicembre viene spinto dal cardinale Prospero Colonna a prestare soccorsi al signore di Rimini, Sigismondo Pandolfo Malatesta, in difficoltà di fronte alle milizie aragonesi comandate da Federico da Montefeltro e da Jacopo Piccinino. Invia in Romagna il genero, Antonello da Forlì e Giovambattista dell'Anguillara.

A febbraio del 1458 si impadronisce di Montecelio ai danni degli Orsini e due mesi più tardi conclude una tregua di trenta mesi con l'Orsini, Menelao e Sicuranza di Vico e Tommaso d'Alviano su pressione del re di Napoli e del rettore del Patrimonio. Tregua che rompe appena tre mesi dopo, nel luglio dello stesso anno, aggredendo Caprarola provocando la reazione del Papa. Callisto III, infatti, avoca a sé il possesso del castello di Caprarola e lo affida, con quello di Vico, al nipote Ludovico Borgia, prefetto di Roma. Alla morte del papa, l'Anguillara si asserraglia in Vico per difendersi dagli Orsini e spinge Jacopo Piccinino ad entrare in Umbria. Ad agosto ottiene Carbognano, imprigiona il commendatore di Santo Spirito a Roma conducendolo a Ronciglione, assale Vallerano e Giuglianello ed entra in Nepi. Solo a fatica il nuovo pontefice Pio II riuscirà a sedare le lotte fra le fazioni. Anche Everso si adegua stipulando con l'Orsini una tregua di trenta mesi mentre a metà mese viene chiamato dagli spoletini per contrastare l'avanzata del Piccinino.

A settembre del 1458, firmata una tregua di trenta mesi con i pontifici, tiene ancora in agitazione l’intero Patrimonio. A giugno del 1459 ordisce un complotto in Vetralla per abbattere la signoria dei Gatti in Viterbo ed a luglio, sempre contro Menelao di Vico, depreda il contado di Caprarola e ne conquista il castello, difeso dal connestabile Losa con 36 fanti inviativi dal capitano pontificio Giovanni Malavolti. Ad agosto coadiuva il fuoriuscito Alessio Tignosini ad entrare in Viterbo ai danni dei Gatti, il quale,  approfittando di un buco nelle mura presso la porta di San Sisto, può irrompere nella città seguito da 60 fanti assoldati a Canepina. Il giorno seguente Everso manda in soccorso del Tignosini il genero, Antonello da Forlì, con Camillo da Roncone alla testa di 60 cavalli che si spingono per le contrade e danno il sacco ad alcune case con l’uccisione di due fautori dei Gatti. Un enorme bottino è inviato a Vetralla ma con l'arrivo di rinforzi pontifici, gli uomini di Everso preferiscono ritirarsi portando con sé molti prigionieri e lasciando che le truppe della Chiesa recuperino Viterbo e catturino il Tignosini, che sarà decapitato.

A settembre è in Toscana per combattere a favore di Giovanni d'Angiò contro aragonesi e pontifici. Con i suoi uomini, a Livorno, rifornisce di biscotto la flotta angioina. Intanto, a Carbognano, scopre una congiura ai suoi danni e per ritorsione fa impiccare 7 uomini fra Ronciglione e Vico cercando anche di togliere Anguillara Sabazia ai nipoti, figli del fratello Dolce, e di impadronirsi di Ceri. A settembre del 1460, alla notizia di una malattia del papa Pio II, chiama il Piccinino nella campagna romana, occupa Orte ed invade la contea di Albe.

Ad ottobre, bloccata Roma con le sue masnade mentre il Piccinino si collega con Colonna e Savelli, Everso può impadronirsi di Anguillara Sabazia e a novembre compie una scorreria al borgo di San Leonardo razziando 7.000 pecore, 400 vacche e 200 cavalle e conducendo il bestiame a Vetralla. A febbraio del 1461 depreda Scrofano, appartenente agli Orsini, con un'incursione che termina con l'uccisione di 13 uomini ed il ferimento di altri 60, nonché con il furto di 300 vacche e di altro bestiame, che è sempre portato a Vetralla.

A maggio aiuta i Chiaravalle nelle loro scorribande nel todino; saccheggia il castello di Sismano,  di cui sono signori Giacomo ed Andrea degli Atti. Nel 1464, con Broccardo Persico, cancelliere del Piccinino, ingegna un piano per attentare alla vita del papa Pio II, che però viene scoperto. Per ritorsione fa imprigionare alcuni suoi famigliari e li accusa di avere cercato di ucciderlo con la connivenza di Gregorio Lolli, cugino del pontefice. Si ritira allora nei suoi domini e lo stesso anno, il 4 settembre, muore a Cerveteri.

Pio II (Enea Silvio Piccolomini), nei suoi celebri Commentari, ci lascia una sintetica ma spietata testimonianza della personalità di Everso, il quale alla morte di suo fratello Dolce:

«…prese la tutela dei nipoti, ma sostenne più la parte del ladro che del tutore; era per lui la rapina un diletto, avvezzo alle armi nocque non meno ai parenti e agli amici che ai nemici. Sempre ostile ai Pontefici Romani (suoi sovrani diretti), avaro del suo, avido dell’altrui, non ebbe nessun sentimento di religione, assolutamente ateo, usava ripetere che le anime degli uomini come quelle delle bestie da soma sono mortali. Bestemmiatore e crudele uccideva l’uomo con la stessa facilità che altri una pecora; escogitò supplizi dolorosissimi e mai prima conosciuti per martoriare i prigionieri che odiava. Mantenne con prede e latrocini quei sudditi che furono disposti a servirlo in armi, gli altri schiantò sotto il peso del più duro despotismo: dopo sei giorni di intenso lavoro nei propri campi, erano costretti, stanchi, per vivere liberi da tributi, a lavorare per lui nel settimo giorno che, secondo lui, si chiamava appunto domenica perché doveva esser dedicata al padrone, e il padrone diceva essere lui. Portava a forza nel suo palazzo le mogli e le figlie loro, e le prostituiva, procurando ovunque gravi disordini morali con stupri ed adulterii; né gli mancò la taccia infame dell’incesto, quasi avesse violato la castità delle figlie. Fustigò spesso i figli e li assalì col ferro, saccheggiò le chiese; timido con gli arditi, forte con i deboli, resistente alle fatiche e ai digiuni, se necessario; nel riposo ubriacone, ingordo e lussurioso…» (I Commentari, I, XII).

Nel suo testamento, dopo aver provveduto a lasciare cospicui beni a tutti i suoi numerosi figli naturali e alle sue amanti, Everso lascia:

 «tucti laltri miei bieni stabili et mobili Castella Rocche fortezze, tenute et terre rascioni actioni et onnie altra cosa lasso alli dicti miei heredi universali Francesco et Deyphebo miei figliuoli legetimi et naturali li quali Francesco et Deyphebo instituisco miei heredi universali colli modi condictioni et substitutioni infrascripti. Cioe intra loro o se per questo mio testamento despositione et ultima volonta facto lo partimento et divisione delle Castella terre et cose stabile in doi parti cioe una parte sia et esser debbia Vetralla Jovi Viano con Ischia et Alceto suoi tenute. Sancta Pupa e Carcari et questa sia con suoi rascioni et pertinentie de Francesco. Laltra parte sia et esser debbia questa cioe Crapanica Ronciglione e Casale Vico e Casamala suoi contrate Le rascioni le quale agio in Craparola Bieda Sancto Jovenale lo Terzuolo et Luni suoi contrate Sancta Sivera la meta di Cervetere con loro rascione et pertinentie et questa sia de Deyphebo» (Adinolfi P., Laterano e Via Maggiore, Roma 1857, pp 133-139, doc. IV).

E' sepolto a Roma nella chiesa di Santa Maria Maggiore. 


Per citare questo articolo

CECCARINI, Fabio, «Everso dei Conti dell'Anguillara. Chi era davvero?», Capranica Storica, 15/01/2017 - URL: https://www.capranicastorica.it/2017/01/everso-dei-conti-dell-chi-era-davvero_15.html

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